L’appendicite è un’infiammazione a carico dell’appendice nota anche con il nome di appendice vermiforme. Fino alla prima metà dell’Ottocento, questa patologia era nota con i termini di teflite e peritiflite giacché attribuita al cieco.
L’appendicite è una tra le malattie più frequenti che colpisce i soggetti di entrambi i sessi con un età compresa tra i 20 e i 30 anni. Rara nei neonati giacché il tessuto linfatico risulta essere scarso e per una questione di larghezza del lume: anche negli anziani si presenta in maniera veramente rara perché l’intestino, durante quest’età risulta essere atrofico.
Vediamo quali sono le caratteristiche di questa patologia e come, con le dovute attenzioni e una diagnosi precisa, è possibile curarla efficacemente.
Dalla pubertà all’età adulta, l’appendicite ha un’incidenza maggiore verso i soggetti di sesso maschile. Osservando un quadro più generale, la patologia colpisce circa il 7% della popolazione occidentale, mentre in Africa e Asia è poco diffusa. In Italia si stimano tra i 55.000 e i 60.000 di appendicectomie l’anno.
L’appendice è una struttura a forma di tubo che si collega al cieco, a circa 3 centimetri dove termina la parte d’intestino chiamata ileo. Dal punto di vista estetico somiglia a un lombrico ed è proprio per questo che viene chiamata vermiforme. La lunghezza può variare tra i 2 e i 25 centimetri; presenta una superficie di colore rosa e grigia, con una superficie liscia e uniforme. Al suo interno è presente una cavità dal diametro molto ridotto chiamato lume. Quando l’appendice è infiammata, si presenta di un rosso vivo o viola e la superficie è irregolare e turgida. Essa presenta differenti strati che sono: la tonaca sierosa, muscolare, sotto-mucosa e mucosa.
La diagnosi dell’appendicite può talvolta risultare problematica sia per una questione di sintomi ma anche per la posizione assunta dall’appendice stessa. Proprio per questi motivi, i medici si avvalgono di caratteristiche specifiche attraverso le quali elaborare dei quadri clinici che permettono di agire al meglio durante l’intervento chirurgico. Bisogna sapere che l’appendice è in stretto contatto con le tenie longitudinali dell’intestino chiamato cieco; con quest’ultimo ha un rapporto incessante, proprio perché l’appendice si sviluppa sul versante inferiore e mediale del cieco.
Di quest’ultimo ne segue quelle che sono definite "anomalie di posizione", significa che l’appendice non si trova nella stessa zona in tutti i pazienti, ma può trovarsi: nella zona iliaca (posizione normale), più in basso (zona pelvica), più in alto (zona sottoepatica) o nella fossa iliaca sinistra. L’appendice presenta una struttura molto mobile perché il peritoneo blocca solo la base mentre la punta resta libera quindi può raggiungere direzioni diverse (ascendente, discendente, laterale o mediale). Questa mobilità fa sì che l’appendice entri in contatto con altri organi, quali: ovaio, colecisti e reni.
L’analisi dell’insorgenza della malattia da molta importanza al lume e alla sua facile occlusione dovuta al diametro molto ridotto. Tuttavia a quest’ostruzione è necessario collegare altre cause e fattori scatenanti, tra cui: coproliti (depositi fecali), corpi estranei (parassiti intestinali, noccioli, unghie e simili), tessuto linfatico (che tende ad aumentare di volume a seguito dell’infezione), compressione e un’errata posizione dell’appendice (provocate da briglie, aderenze, angolature o tumori). All’interno del lume appendicolare è presente della flora batterica che viene espulsa attraverso delle contrazioni (peristalsi). In caso di ostruzione questo movimento viene a mancare per cui i germi rimangono all’interno dell’appendice, si moltiplicano, diventano tossici e creano uno stato infiammatorio denominato appunto appendicite.
Le fasi dell'appendicite sono 3:
I principali sintomi dell’appendicite sono caratterizzati da:
In linea generale al dolore epigastrico segue quello della zona ileo-cecale, poi nausea, vomito e anoressia. Tuttavia, a questi riscontri bisogna affiancare delle analisi di laboratorio chiamate leucocitosi neutrofila significativa. Quando i valori non superano i 19.000 la situazione è nella norma; quando sono maggiori di 20.000 può significare la presenza di una peritonite. Infine si procede con degli accertamenti mediante strumenti specifici, quali: radiografie in bianco, TAC e l’ultrasonografia. Per cercare di localizzare il dolore si attuano 4 manovre:
La manovra di Blumberg si pratica poggiando le dita della mano sull’addome e praticando una certa pressione, successivamente si solleva di colpo. Se si avverte un dolore violento probabilmente si tratta di appendicite.
La manovra di Rovsing consiste nel praticare una certa pressione nella regione della fossa iliaca sinistra e poi si sposta in direzione del colon discendente (parte destra). In caso di appendicite il paziente avverte dolore.
Con la manovra dello psoas si pratica una certa pressione nella fossa iliaca destra e parallelamente si alza la gamba del paziente. Con la contrazione del muscolo (dello psoas) il paziente dovrebbe avvertire un forte dolore.
Il 1986 è un anno importante per quanto riguarda le diagnosi dell’appendicite in quanto quest’anno coincide con l’elaborazione di un sistema diagnostico basato sulla connessione tra sintomi, segni e reperti di laboratorio. IL sistema è stato creato da Alvarado Score e consiste nel sommare tutti e tre i fattori diagnostici. Se il risultato è maggiore di 7 la diagnosi di appendicite si conferma, se è compresa tra 7 e 5 è necessario effettuare degli accertamenti mediante la TAC, mentre se il risultato della somma è uguale o inferiore a 5 molto probabilmente non si tratta di appendicite.
C’è da sapere che la difficoltà nell’elaborazione di una diagnosi non è dovuta soltanto alla correlazione sintomatica tra appendicite e altre patologie, ma anche dal poco tempo che il medico ha a disposizione. Ciò significa che non sempre si è certi della diagnosi in quanto il vero stadio della patologia si evince solo ad un’analisi visiva della zona infiammata. Un altro fattore è dato dalla velocità in cui l’appendicite acuta si può trasformare in appendicite catarrale e gangrenosa.
Il trattamento dell’appendicite avviene solo ed esclusivamente in maniera chirurgica. Durante la fase di diagnosi e preparazione all’intervento, il paziente (mediante sondino naso-gastrico) viene sottoposto ad un trattamento antibiotico. Gli antinfiammatori e antidolorifici non devono assolutamente essere utilizzati perché possono mascherare i sintomi.
L’intervento chirurgico e veloce e comporta un brevissimo periodo di degenza. In presenza di un piastrone, ascesso o di peritonite, l’intervento chirurgico è più complesso e può avere delle complicazioni. Le due principali tecniche chirurgiche utilizzate sono quella aperta e quella chiusa. La prima consiste nell’incisione della zona addominale scegliendo di praticare un taglio tra questi: taglio di MacBurney, taglio di Battle-Jalaguier, taglio mediano ombelico-pubico e il taglio sovra-pubico destro. A questo punto il chirurgo cerca ed espone l’appendice, la quale sarà successivamente recisa alla base. Il moncone restante viene introflesso e si procede con la sutura.
La tecnica chiusa è più veloce, si può intervenire su altre patologie connesse (ovaie etc.), offre un maggior campo d’azione, il periodo di degenza è molto ridotto e rispetto alla tecnica chirurgica tradizionale è meno invasiva anche dal punto di vista estetico. Oltre all’appendicite acuta possono verificarsi casi di appendicite cronica. In presenza di questa patologia ci sono ancora dei dubbi e delle ricerche da effettuare. Questa si distingue a sua volta in due categorie: quella che fin dal principio si presenta come cronica e quella che da forma acuta si è risolta e poi ripresentata in maniera cronica. Quest’ultima presenta uno stato infiammatorio prolungato nel tempo ed è priva di guarigione spontanea. Colpisce maggiormente soggetti di sesso femminile durante l’adolescenza o la giovinezza.
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